Sarajevo, il 28 giugno 1914: l'arciduca Francesco
Ferdinando e la moglie Sofia
vengono uccisi da un attentatore serbo.
Disegno pubblicato in un giornale austriaco,
autore sconosciuto
L'attentato di Sarajevo
L'attentato di Sarajevo, cioè l''uccisione dell'arciduca Francesco
Ferdinando, l'erede al trono degli Asburgo e sua moglie da parte di un
gruppo di nazionalisti serbo-bosniaci, non fu certo la causa della
prima guerra mondiale anche se questa leggenda viene presentata periodicamente
anche da blasonate riviste storiche.
Fu invece un pretesto, abilmente sfruttato da chi voleva la guerra ad ogni
costo. Per quest'ultimi l'attentato fu una fortunata coincidenza per poter
convincere chi esitava ancora, soprattutto l'imperatore Francesco Giuseppe,
anziano e stanco di guerre.
Nei primi anni del '900 i preparativi a questa guerra, sia
quelle materiali - una folle corsa agli armamenti - sia quelle psicologiche
- il bombardamento di odio nazionalistico contro altri stati e popoli
- andarono avanti in tutti i paesi che
vi avrebbero partecipato, anche in Austria. In tutti i paesi c'erano dei conti
aperti, che si pensava di poter pareggiare solo con il ferro e il sangue. Si
era in disaccordo solo sul momento in cui il resoconto finale doveva
iniziare. Ci si preoccupava di non colpire troppo presto, o troppo tardi.
La vera tragicità in tutto questo sta nel fatto che coloro che spingevano
per la guerra credevano che tutto si fosse risolto in poche settimane, al
massimo in pochi mesi e che la propria vittoria fosse più che scontata. E invece
fu l'inizio della carneficina più mostruosa mai vissuta fino ad allora - con
8,5 milioni di morti, di cui 1,2 milioni dell'esercito austro-ungarico - che alla
fine provocò il crollo dell'impero asburgico.
Per saperne di più sull'attentato di Sarajevo e sugli eventi che portarono
allo scoppio della prima guerra mondiale vedi:
L'attentato di Sarajevo
1914-1915: la guerra contro la Russia e la Serbia:
In tutti i paesi, anche in Austria, i soldati andarono
in guerra con grande entusiasmo.
In questa foto si vede un vagone di un treno di soldati tedeschi che parte
da Monaco
e che promette di arrivare tramite Metz a Parigi. A destra una scritta che dice
"vagone-letto
fornito di birra dell'Hofbräuhaus di Monaco".
foto: Bundesarchiv
In tutte le nazioni che vi avrebbero partecipato, la guerra fu salutata con un
grande entusiasmo - decenni di propaganda nazionalista contro i rispettivi
nemici all'estero ora
mostravano i risultati - tutti illusi di vincere facilmente, con gloria e in breve
tempo. La foto del treno "Monaco-Parigi" (vedi sopra) è molto eloquente.
Questo entusiasmo svanì molto presto. Tra i "paesi dell'alleanza"
(Austria-Ungheria, Germania, Turchia e Bulgaria) l'Austria era il paese meno
preparato alla guerra: armi, munizioni, uniformi e cibo bastarono solo per
poche settimane e non esistevano piani precisi per organizzare i
rifornimenti dell'esercito, né strategie chiare su come affrontare la guerra
sui due fronti: quello russo e quello balcanico. Già nelle prime battaglie
le perdite austriache furono altissime: poche settimane dopo l'inizio della
guerra gli ospedali non bastavano più per accogliere i soldati feriti:
nell'inverno 1914/1915, durante i combattimenti sul fronte russo, rimasero
sul campo 800.000 uomini, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Molte
scuole furono chiuse per lasciare spazio ai feriti e più tardi anche il
Parlamento a Vienna divenne un ospedale. A un anno dall'inizio della guerra
tutte le illusioni su una sua breve durata erano sparite e, come se
non bastasse, allora si aprì per gli austriaci un terzo fronte, quello
contro l'Italia.
Nel 1914, all'inizio della guerra, l'Italia faceva parte degli alleati
dell'Austria e ci si aspettava che l'Italia entrasse nella guerra a fianco degli austriaci. Ma l'Italia esitava e - almeno
formalmente - aveva ragione: un intervento militare dell'Italia doveva avvenire
solo se l'Austria fosse stata attaccata. Ma in questo caso era stata
l'Austria ad attaccare la Serbia. Il vero motivo del comportamento del
governo
italiano fu invece il fatto che l'Italia, per entrare in
guerra, si aspettava una ricompensa: chiedeva, una volta vinta la guerra, di
poter annettere il Trentino e la zona di Trieste, che all'epoca facevano
parte dell'impero austriaco. L'Austria si rifiutò di accettare queste
condizioni, mentre gli alleati furono ben felici ad assecondare le richieste
italiane e così
l'Italia entrò in guerra contro l'Austria. A loro non costava nulla.
La guerra tra l'Austria e l'Italia si trascinò avanti per tre anni. In 15
sanguinosissime battaglie tra il gelo e il ghiaccio delle Alpi e le nebbie
della pianura padana (12 battaglie dell'Isonzo e 3 battaglie del Piave), in cui morirono quasi un milione di soldati da
entrambe le parti, nessuno riuscì a strappare al nemico più di qualche
chilometro, che poi non fu prontamente riconquistato dall'altra parte.
Alla fine del tremendo conflitto i due eserciti non erano più vicini alla
vittoria che nel primo giorno di guerra. Fu solo il crollo dell'impero austriaco (alla fine dell'ottobre 1918),
che in quel momento aveva già chiesto l'armistizio, a permettere all'esercito
italiano un ultimo vittorioso attacco contro un esercito austriaco parzialmente già in
dissoluzione.
Ai morti sul campo di battaglia si aggiungono i morti per fame:
Vienna 1918: donne in coda per il pane
foto: Archiv der Bundespolizeidirektion Wien
Soprattutto gli ultimi due anni di guerra furono durissimi per la
popolazione austriaca. Dopo il devastante inverno del 1916/17, il cosiddetto
"Steckrübenwinter", quando oltre alle rape, di solito usate come cibo per il
bestiame, non c'era quasi niente da mangiare, anche i più elementari generi
alimentari scarseggiavano e per disperazione la gente cominciò
a mangiare anche i cani e i gatti. Il cibo disponibile doveva andare soprattutto ai
soldati al fronte, ma non bastava mai, causando anche nell'esercito
migliaia di morti per fame. Più volte il governo austriaco dovette chiedere
a quello tedesco non solo aiuti in armi e munizioni, ma anche in cibo. La
popolazione civile era talmente debole e logorata che lo scoppio
dell'"influenza spagnola" nel 1918 causò centinaia di migliaia di morti. A
Vienna, in una sola settimana, morirono più di 800 persone, tra i quali
anche il noto pittore Egon Schiele.
Il crollo dell'esercito austriaco, il crollo dell'impero:
Prigionieri austriaci sul fronte del Piave (1917)
foto (pubbblicato in un giornale inglese):
autore sconosciuto
Parallelamente alla guerra sul fronte sud, contro l'Italia, l'Austria era
sempre impegnata sul fronte russo e su quello balcanico, anche se la maggior
parte delle truppe era legata nella guerra contro l'Italia. Mentre il fronte
contro l'Italia, nonostante delle tremende perdite, non si mosse quasi mai,
nella guerra sul fronte russo l'Austria e la Germania riuscirono ad ottenere
dei
successi, almeno tra il 1917 e il 1918, quando in Russia scoppiò la
rivoluzione. Ma visto che la Germania cominciò a concentrare più forze
possibili sul fronte occidentale, per cercare la vittoria decisiva in terra
francese, l'Austria non ebbe più le forze sufficienti per affrontare la
guerra su tre fronti, soprattutto da quando, nel 1917, anche gli americani
entrarono in guerra per sostenere gli inglesi e i francesi. Nel 1918, le
dissertazioni, le rivolte nell'esercito austro-ungarico e gli scioperi nelle
città si moltiplicarono e il morale sia dei
combattenti che della popolazione civile decadde sempre di più: sempre meno credevano in una
vittoria della Germania e dell'Austria.
Quando l'Austria dichiarò la resa incondizionata (il 3 novembre 1918) i
soldati morti dell'esercito austro-ungarico erano 1,2 milioni, i feriti,
dispersi e i prigionieri di guerra ca.
3,7 milioni, su un totale di 7,8
milioni soldati arruolati. Bisogna aggiungere decine di migliaia di soldati che morirono negli
anni successivi per le ferite subite e circa 300.000 morti civili. Nel
momento dell'armistizio, molte popolazioni non-austriache si erano già
staccate dal vecchio impero asburgico e avevano dichiarato la propria
indipendenza. L'11 novembre il parlamento di Vienna proclamò la repubblica e
lo stesso giorno il monarca Carlo I, successore di Francesco Giuseppe, firmò
il suo ritiro dalla politica. Un suo ultimo disperato tentativo di salvare
il salvabile, cioè la proposta di trasformare l'impero in un grande stato
federalista era fallito: nessuno era interessato. Il secolare impero degli Asburgo
aveva cessato di esistere.
Quel che rimase del grande impero asburgico fu il piccolo
"Deutsch-Österreich": il territorio era ridotto da 677.000 a 84.000 km2,
la popolazione da 50 a 7 milioni. Ma l'Austria non perse solo i territori
non-tedeschi: i vincitori tolsero all'Austria anche altri territori con una
popolazione di madrelingua tedesca: la zona dei Sudeti con ca. 3 milioni di
persone che parlavano tedesco fu attribuita alla nuova repubblica
cecoslovaca e l'Alto Adige, con 200.000 persone di madrelingua tedesca, fu
annessa all'Italia. Entrambi i territori avrebbero creato, nei decenni
successivi, dei problemi anche seri ai nuovi padroni - ma questa è un'altra
storia.