Sarajevo, il 28 giugno 1914: l'arciduca Francesco
Ferdinando e la moglie Sofia
vengono uccisi da un attentatore serbo.
Disegno pubblicato in un giornale austriaco,
autore sconosciuto
Due leggende storiche:
Ci sono due leggende storiche dure a morire: la prima è
che l'uccisione del principe ereditario Francesco Ferdinando nell'attentato di
Sarajevo sarebbe
stata la causa della prima guerra mondiale. La seconda leggenda
dice che la Germania, l'Austria, la Francia, l'Inghilterra e la Russia, cioè
le potenze principali coinvolte nella prima guerra mondiale, sarebbero
"scivolate" in questa guerra, spinte dalle circostanze e senza volerla
veramente. Ma queste leggende, presentate periodicamente anche da blasonate
riviste storiche, con un più attento esame delle fonti non stanno in
piedi.
Cosa faceva Francesco Ferdinando a Sarajevo?
Il 28 giugno del 1914 l'arciduca Francesco Ferdinando, nipote
dell'imperatore Francesco Giuseppe e designato erede al trono asburgico, si
trovava in Bosnia, da poco annessa alla monarchia austro-ungarica, per una
visita alle manovre delle truppe imperiale svoltesi in quella zona.
Il giorno della visita era scelto male perché si trattava del giorno di San Vito,
un giorno sacro per i serbi, una specie di festa nazionale con solenni
celebrazioni di una battaglia contro gli ottomani nel 1389, durante la quale
il sultano venne assassinato nella sua tenda da un serbo. Peggio ancora fu
la decisione di estendere la visita dell'erede asburgico dal luogo della
manovra alla città di Sarajevo, capitale della Bosnia, agitata dall'irredentismo bosniaco che
non sopportava l'annessione alla corona degli Asburgo. Anche se non è
provato che questa visita, oltre ad essere una consuetudine militare, era
pensata, da certi ambienti viennesi che odiavano la Serbia, come una
provocante dimostrazione di potere, ci voleva poco per essere interpretata
come tale da parte dei nazionalisti serbi-bosniaci.
Oggi, quando i capi di stato fanno visita alle loro truppe impegnate in zone
di crisi, lo fanno a sorpresa, proprio per evitare gli attentati. Il giorno
della visita di Francesco Ferdinando era invece noto con largo anticipo, dai
giornali si sapevano persino gli orari precisi delle tappe e il percorso
delle automobili imperiali a Sarajevo, probabilmente per poter organizzare
la claque necessaria.
Il fatto che 4 anni prima, proprio a Sarajevo c'era stato un'altro attentato -
fallito per un pelo - contro il governatore austro-ungarico non influenzò
i piani per la visita. Persino un avvertimento di un possibile attentato
durante la visita del 28 giugno - i preparativi degli attentatori non erano
rimasti del tutto segreti - non fu preso sul serio, e così le misure
di sicurezza durante la visita furono minime.
L'attentato:
L'attentatore Gavrilo Princip (19 anni),
membro di un gruppo nazionalista serbo-bosniaca
foto: Autore sconosciuto
I preparativi per l'attentato erano cominciati già alcuni mesi prima.
All'inizio erano in tre a decidere di uccidere Francesco Ferdinando in
occasione della sua visita a Sarajevo, tra cui il futuro attentatore Gavrilo Princip.
Tutti e tre avevano tra 18 e 19 anni ed erano membri della associazione bosniaca
nazionalista e pro-serba "Giovane Bosnia". Più tardi si aggiunsero
altri quattro ragazzi serbi e bosniaci, tutti giovanissimi (alla fine il più
giovane del gruppo aveva 17, il più vecchio 27 anni) e tutti erano privi di
qualsiasi esperienza con le armi.
Per avere delle armi e per esercitarsi con esse venne in aiuto Milan
Ciganović, un membro del gruppo serbo anti-austriaco "Mano Nera" che
aveva anche contatti con i servizi segreti della Serbia. C'erano poi altre
persone che fornirono aiuti logistici ma che non erano presenti a Sarajevo
nel giorno dell'attentato. Alla fine, il numero totale di persone coinvolte
nella congiura,
in un modo o in un altro, fu intorno a 15.
Il "gruppo di fuoco" dei 7 ragazzi che disponeva di 4 rivoltelle e 6 bombe a
mano si distribuì lungo il percorso che l'arciduca e il suo seguito (in
tutto 6 macchine) doveva fare a Sarajevo e che era stato pubblicato
precedentemente sui giornali. Ma il primo del gruppo non capì in quale macchina
viaggava l'arciduca e così rinunciò, il secondo riuscì invece a lanciare una bomba a
mano verso la macchina dell'arciduca. Ma l'autista aveva visto il lancio,
accelerò e così la bomba esplose davanti alla macchina successiva, causando
8 feriti, ma nessun morto. L'attentatore fu subito preso e arrestato, mentre
il terzo, Gavrilo Princip, che era nelle vicinanze si rifugiò in un
Kaffeehaus per riflettere su cosa fare. Ormai il piano era saltato e gli altri
quattro, disorientati e ostruiti dalla folla densa presero paura e
rinunciarono. Il corteo delle macchine continuò verso il municipio per
seguire il programma previsto, un banchetto con discorsi ufficiali.
Solo una incredibile coincidenza fece sì che alla fine il piano
dell'attentato riuscì. Al ritorno dal municipio l'autista della macchina con Francesco Ferdinando dovette fermarsi un attimo per una retromarcia: non
era stato informato in tempo di un cambiamento del percorso e aveva sbagliato strada.
E si fermò proprio davanti al Kaffeehaus dove sedeva Gavrilo Princip
che nel frattempo stava riflettendo se era meglio suicidarsi o scappare. Quando Princip vide la
macchina con Francesco Ferdinando davanti ai suoi occhi uscì di corsa dal Kaffeehaus e sparò i colpi mortali che
uccisero, oltre all'arciduca, anche sua moglie Sofia.
L'arresto di Gavrilo Princip, subito dopo l'attentato,
foto pubblicata in un giornale di Varsavia, Autore sconosciuto
Le reazioni immediate all'attentato:
La notizia dell'attentato non colpì in modo particolare l'opinione pubblica austriaca. "Per quanto posso vedere, la città di Vienna accoglie
tranquillamente l'accaduto", scrisse il deputato del Reichtstag e storico
Joseph Redlich nel suo diario, a proposito di Sarajevo. "In città non c'è
alcuna atmosfera luttuosa, nel Prater e qui da noi a Grinzing, musica
dappertutto." L'ambasciatore a Bucarest e ministro degli esteri austriaco
durante la guerra Ottokar Graf Czernin disse persino, che, tra i personaggi
politici a Vienna e a Budapest c'era più gente contenta che luttuosa.
Persino l'imperatore Francesco Giuseppe reagì in una maniera non proprio da
zio in lutto o da imperatore mortalmente offeso. Venuto a sapere
dell'attentato esprimesse prima le parole "Poveri figlioli", rivolte ai
figli della coppia assassinata, poi si informò dell'esito delle manovre e infine
aggiunse, riferendosi al fatto che l'arciduca aveva insistito a sposare una
donna che non aveva sangue reale: "L'Onnipotente non si lascia provocare
senza punire. L'ordine che io purtroppo non ebbi la forza di mantenere è ora
ristabilito dalla volontà dell'Altissimo". Quindi, una specie di punizione divina.
A sua figlia, l'arciduchessa Maria Valeria, espresse lo stesso concetto, ma
con parole più semplici: "Per me è un grosso pensiero di meno". Dell'enorme ipocrisia che lui stesso
stava mantenendo, da più di venti anni, un'amante borghese, l'attrice del
Burgtheater viennese Katharina Schratt che divorò ingenti somme di denaro, evidentemente non si
rese conto.
I tanti nemici di Francesco Ferdinando:
L'arciduca Francesco Ferdinando (1863-1914),
in una foto del 1905
foto:
Carl Pietzner
Ma oltre alle sopraccitate considerazioni dell'imperatore Francesco Giuseppe, ormai
piuttosto anziano (aveva 84 anni), c'erano molti avversari di Francesco
Ferdinando che vedevano, con motivi più politici,
l'eliminazione dell'erede al trono con malcelata soddisfazione.
All'inizio del '900 l'impero austro-ungarico aveva raggiunto ormai
proporzioni gigantesche, ma le rivendicazioni nazionaliste dei popoli,
soprattutto dei serbi, dei croati e degli slavi del sud, costituirono un
crescente pericolo per la sua integrità politica e territoriale. Francesco
Ferdinando, pur essendo un conservatore convinto e un fermo sostenitore
della monarchia di diritto divino, si rendeva conto che il grande impero era
come un malato grave destinato a morte sicura, se non si fosse intervenuto
con un'operazione radicale. Secondo lui, i due poli dell'impero, Vienna e Budapest, non
bastavano più per garantire la sopravvivenza della monarchia degli Asburgo,
ci voleva almeno un terzo polo, quello slavo, per accontentare croati e
bosniaci. Ma già nel 1895 ipotizzava anche una costituzione federale come
quella degli Stati Uniti e persino il suffragio universale, il principio
secondo cui tutti i cittadini possono partecipare alle elezioni politiche e
amministrative. Con queste idee dimostrava una elasticità mentale molto
superiore
dell'imperatore che era diffidente nei confronti di qualsiasi novità, anche
piccola.
Le sue idee di uno stato federale basato sul suffragio universale erano
inconcepibili per gran parte della corte viennese, cieca nei confronti dei
gravi problemi dell'impero. Visto che l'imperatore era ormai vecchio,
molti temevano
la prossima ascesa al potere dell'erede al trono. A Budapest invece le idee
dell'arciduca fecero temere la perdita della posizione privilegiata
dell'Ungheria all'interno dell'impero. Infine, i nazionalisti della Croazia e della
Bosnia non avevano nessuna voglia di diventare parte federale
dell'impero, volevano l'indipendenza. Anche la vicina Serbia non era interessata a
un consolidamento della moribonda monarchia, preferiva la sua debolezza,
meglio ancora la sua morte.
Dall'attentato di Sarajevo alla prima guerra mondiale:
In tutti i paesi, anche in Austria, i soldati andarono
in guerra con vero entusiasmo.
In questa foto si vede un vagone di un treno di soldati tedeschi che parte
da Monaco
e che promette di arrivare tramite Metz a Parigi.
foto:
Bundesarchiv
In tempi più tranquilli, anche solo 10 anni prima, l'attentato di Sarajevo
si sarebbe concluso con l'inevitabile condanna a morte degli attentatori,
con le condoglianze degli altri stati europei e poi basta. Invece nel clima
surriscaldato del 1914 divenne il pretesto per scatenare una guerra
mondiale. Una guerra che coinvolse, direttamente o indirettamente, 40 stati
del mondo e che costò la vita a ca. 17 milioni di soldati e civili, più o
meno il doppio dell'intera popolazione attuale dell'Austria.
Nei primi anni del '900 i preparativi a questa guerra, sia
quelle materiali - una folle corsa agli armamenti - sia quelle psicologiche
- il bombardamento di odio nazionalistico contro altri stati e popoli
da parte di gran parte della stampa - andarono avanti in tutti i paesi che
vi avrebbero partecipato, anche in Austria. In tutti i paesi c'erano dei conti
aperti, che si pensava di poter pareggiare solo con il ferro e il sangue. Si era in
disaccordo solo sul momento in cui il resoconto finale doveva iniziare. Ci
si preoccupava di non colpire troppo presto, o troppo tardi. Tutte le
conferenze internazionali di pace in quegli anni - o i tentativi di organizzarle - fallirono, per un
motivo o l'altro.
Francesco Giuseppe, l'imperatore dell'Austria era tra i pochi a non volere la guerra. Nella sua lunga vita ne aveva combattuto (e perso) tante
e non aveva nessuna voglia di trascinare il suo paese in un'avventura con
rischi incalcolabili. Il sistema di alleanze in Europa era talmente
esteso e intrecciato che anche una piccola guerra "locale" poteva sfociare facilmente
in una guerra a livello europeo, se non mondiale. Ma l'imperatore aveva due
lati deboli: l'ingenuità e uno spasmodico attaccamento al valore dell'onore.
I suoi ministri, consiglieri e collaboratori che volevano quasi tutti la
guerra contro la Serbia (per un presunto, mai provato coinvolgimento
diretto nell'attentato di Sarajevo) sfruttavano abilmente queste debolezze con degli
inganni e con dei ricatti morali.
L'imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe (1830-1916),
in un quadro del 1910
fonte: Wikimedia Commons
Per arrivare il più presto possibile alla dichiarazione di
guerra contro la Serbia il ministro degli Esteri Berchtold aveva preparato
un documento, chiamato "nota di richiesta" - in verità fu un
ultimatum praticamente inaccettabile - da sottoporre al governo della
Serbia, per arrivare alla "verità" sull'attentato. In caso di
non-accettazione (e tutti, tranne l'imperatore, speravano che sarebbe
successo
proprio questo) si dovevano rompere i rapporti diplomatici e l'Austria si
riservava "altre misure" non ben precisate. Ma contro ogni
previsione il governo serbo accettò tutti i punti
del documento, tranne uno, di cui però si dichiarò disponibile a trattare.
I rapporti diplomatici furono interrotti lo stesso. Ma l'imperatore
temporeggiava ancora e disse: "In fondo, la rottura delle relazioni
diplomatiche non è ancora la guerra".
A questo punto i suoi consiglieri decisero di giocare l'ultima carta: visto
che nel frattempo Guglielmo II, l'imperatore del Reich tedesco aveva
dichiarato l'appoggio incondizionato all'Austria, anche in caso di guerra,
si sentirono forti e sicuri, mancava solo quell'ultimo sì di Francesco Giuseppe.
Allora il
ministro degli Esteri Berchtold gli riferì che alcuni soldati serbi
stazionati su
dei battelli sul Danubio avessero sparato su soldati austro-ungarici. Un fatto inventato di
sana pianta, ma Francesco Giuseppe ci cascò: a una tale provocazione si
poteva rispondere solo con la dichiarazione di guerra. Poco dopo lo stesso
Berchtold doveva ammettere che questa notizia "non ha trovato conferma" e il
riferimento a quell'attacco serbo fu tolto dalla dichiarazione di guerra. Ma
ormai era troppo tardi e non si poteva più tornare indietro.
Quello che tutti sapevano, ma di cui nessuno a Vienna voleva ammettere la
portata estremamente pericolosa, era il fatto che la piccola Serbia era
alleata con la grande Russia che all'epoca possedeva l'esercito più grande del mondo.
La prima guerra mondiale era iniziata e con essa la fine del grande impero
austro-ungarico.