Il primo approccio di Kafka con Riva del Garda, nel
1909, non fu determinato da motivi di
salute, come fu per esempio per
Heinrich Mann;
egli si recò a Riva per un soggiorno balneare con i fratelli Brod, che vi
erano già stati, e Riva era stata scelta, per l’amenità del suo lago e dei
suoi panorami.
Durante questo soggiorno Kafka ebbe modo di conoscere
il Sanatorium von Hartungen e deve aver preso visione dei procedimenti
terapeutici d’avanguardia che vi venivano condotti e che dovevano
corrispondere alle sue convinzioni sulle cure naturalistiche, le uniche
nelle quali aveva sempre creduto.
Il sanatorio del medico Christoph Hartung von Hartungen a Riva del Garda
foto del 1910:
Autore sconosciuto
A Riva del Garda Kafka troverà anche
l’amore, durante una gita in barca s’innamorò di una giovane ragazza
svizzera che gli permise di vivere una inaspettata felicità.
Ma lo
scrittore praghese non ricordò Riva del Garda solo per l’amore con la
giovane svizzera. L’esperienza vissuta nel Sanatorium e in particolare a
Riva lascerà traccia in un opera minore della produzione Kafkiana più di tre
anni dopo il secondo e ultimo viaggio a Riva, scritta tra il
1916 e il
1917:
Der Jäger Gracchus, ambientato appunto a
Riva del Garda.
Durante questo periodo Kafka sta vivendo a Praga un
momento drammatico della sua vita, ritorna con il pensiero a Riva, dove
quattro anni prima aveva trovato sollievo in una analoga circostanza. Con questo racconto, Kafka ritorna sul luogo che fu di
piacere, che fu di speranza e che in qualche modo gli è sempre stato prodigo
di esperienze positive, quasi a chiudere il ciclo di una esegesi filosofica
dell’esistenza.
Questa volta, però, lo scenario meraviglioso del
Garda viene ad essere scenario di morte e di disperazione. Non più i
cangianti colori del verde della vegetazione, il blu del lago e il giallo
dei limoni, ma il Garda si trasforma in metafora di disperazione. Di Riva,
senza descrizioni realistiche sono menzionate soltanto il piccolo porto, il
lungolago, le viuzze in discesa e la parete della roccia nuda tra grigio e
nero.
Testo:
Chiara Berto