Non è facile affrontare la lettura dell'opera di Kafka: a seconda da quale
punto di vista lo si voglia esaminare, si hanno interpretazioni alquanto
diverse. Al primo approccio quello che Kafka scrive può sembrare veramente
"assurdo". Eppure, con la giusta chiave di lettura, le sue opere risultano
estremamente affascinanti, profonde e stimolanti. La chiave di lettura è data dalla conoscenza della
personalità dell'autore.
Per comprendere esattamente e gustare
l'apparente assurdità della prosa kafkiana, sarebbe necessario infatti
conoscere la sua particolare condizione di ebreo, figlio di ebrei da tempo
inseriti in ambiente germanico (a Praga)
e perciò staccati dalle tradizioni ebraiche, ma non per questo pienamente
accolti dal loro ambiente. Ancor di più sarebbe necessario conoscere il
personale rapporto dello scrittore Kafka con la realtà, rapporto che egli
stesso descrive con sorprendente lucidità e capacità introspettiva nei suoi
diari e in alcune opere autobiografiche (esempio: "La
lettera al padre").
Come chiave di lettura viene qui
proposta un'interpretazione di tipo psicologico, che è forse quella che
trova più facile ed immediato riscontro in tutti gli scritti di Kafka. Kafka
conosceva l'opera e l'attività di Sigmund Freud
ed egli stesso, ripetutamente, tentava di analizzarsi con un procedimento
che potrebbe definirsi "psicoanalitico": ricordando cioè episodi
determinanti della sua infanzia, ricostruendo il suo rapporto con i genitori
e, in particolare, con il padre, la cui forte e robusta personalità agì da
forza inibitrice sul delicato ragazzo. L'intera opera di Kafka si può forse
definire un unico, sofferto diario: rappresenta infatti la volontà di uscire
dalla solitudine e di dare sfogo, consistenza e chiarezza ai suoi
sentimenti, primo fra tutti il senso di estraneità ed indifferenza nei
confronti del mondo.
Kafka si sentiva incapace...
Kafka si sentiva incapace di vivere ed agire
nella realtà come essere adulto consapevole e responsabile: per questo
motivo rifiutò ad esempio di sposare la fidanzata Felice Bauer. Kafka non
riusciva a sentirsi inserito nelle cose che lo circondavano, partecipe ed
entusiasta degli affetti e degli avvenimenti che lo riguardavano: e mentre
notava negli altri questa capacità di partecipazione e di adeguamento alla
realtà, viveva come colpa personale la sua incapacità. L'incomprensione, la
solitudine, l'indifferenza erano vissute da Kafka con la convinzione di
esserne egli stesso (e solo lui) la causa. Il senso di colpa che ne
derivava, sta quindi alla base di tutta la sua personalità, è una colpa
metafisica, slegata da un concreto avvenimento.
Il tema della colpa...
Il tema della colpa è
ricorrente in tutta l'opera kafkiana. Tutti i suoi eroi sono colpevoli, ma
essi non sono altro che la sua controfigura. Egli gioca addirittura con i
nomi dei suoi personaggi: Herr K. in "Ein Traum"; Josef K. in "Der Prozeß";
Herr Samsa in "Die Verwandlung", dove le lettere S e M stanno al posto di K
e F del suo cognome. In fondo la colpa di Kafka consiste nella sua
incapacità di operare una chiara scelta fra il "suo" mondo, rappresentato
dalla letteratura, e l'esistenza borghese, rappresentata dal lavoro
(lavorava come impiegato presso una Compagnia di Assicurazioni), dal
matrimonio e dalla famiglia. Non seppe mai conciliare le due direzioni e per
questo si sentiva alienato dalla società ed inappagato nei suoi bisogni. Era
convinto che solo chi riesce a vivere fino in fondo la razionalità borghese,
non lasciando spazio all'irrazionalità e all'insicurezza, possa
sopravvivere.
Questa colpa deve però essere punita: chi non sa
adeguarsi è destinato all'auto-distruzione. La sua stessa malattia, la
tubercolosi che lo porterà alla tomba a soli 41 anni, è la conseguenza di
questa sua colpa. In un'epoca in cui non si parlava ancora di
malattie
psicosomatiche, Kafka, con lucida intuizione, addita chiaramente l'origine
della sua malattia nella debolezza della psiche.
La prima pagina del manoscritto "Lettera al padre" (mai spedita)
fonte:
commons.wikimedia.org
Ed analogamente, per
quasi tutti i suoi eroi, alla fine sopraggiunge la morte che, naturalmente,
appare priva di senso. Un modo per sfuggire al peso di questo conflitto
psicologico Kafka l'aveva trovato nell'attività letteraria. La possibilità
di scrivere era considerata da Kafka la cosa più importante ed
indispensabile per la sua esistenza, un mezzo quasi per non impazzire. A
volte passava l'intera notte a scrivere, o addirittura usufruiva delle ferie
per dedicarsi completamente a questa attività. Spesso i suoi racconti o i
suoi romanzi hanno la caratteristica dei sogni, come se nella notte, mentre
scriveva, fissasse sulla carta le sue fantasie, le sue allucinazioni. Ma
proprio queste fantasie, questi sogni, appaiono più veri della stessa
realtà, perché, mentre la realtà è apparenza, il sogno è intuizione, è
interpretazione della realtà.
Kafka scriveva essenzialmente per se
stesso, non certo per un pubblico. Aveva infatti pregato l'amico
Max Brod di
bruciare, dopo la sua morte, tutti i manoscritti non ancora pubblicati.
Fortunatamente l'amico non esaudì questo desiderio.